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Scritti per Ventiquattro

Giovani in bilico

di Fereshteh Sari

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«Ma tu perché hai invocato Abolfazl?».

«Non so, per me è una specie di parola portafortuna, forse perché mia madre aveva fatto voto ad Abolfazl, protettore dei bambini, quando a sette anni avevo contratto la difterite, stavo per morire, a quell'epoca il vaccino non era diffuso. Dopo la guarigione mamma decise di allestire una cerimonia per Abolfazl, ma ha aspettato fino all'anno successivo, risparmiando sulle spese di casa per organizzare la tavola votiva: zuppa con pasta, riso con lenticchie, pane, formaggio, erbette e dolci. Ne ho un ricordo piacevole, capivo che la tavola imbandita era per me ed ero contenta, anche se le donne lì attorno non mi guardavano, ripetevano solo le preghiere. Ce n'era una che salmodiava, una nostra vicina, cantava con voce afflitta: "O lucente Abbas, dal viso di sole, o luce del cuore dell'imàm Ali". Dagli otto anni in poi ho pensato di avere una sorta di assicurazione da parte di Abolfazl e nei momenti di pericolo, inconsapevolmente, lo invoco».

«Certo che Ashkan ha un odio inspiegabile, neanche i comunisti del primo periodo della Rivoluzione erano così nemici della religione!».

«Sì, poi ho capito perché e l'ho perdonato. Ha un odio da cammello. Penso sia dovuto al fatto che durante il secondo anno della Rivoluzione, una volta che era andato sul mar Caspio con degli amici, uno di questi, che adesso fa l'immobiliarista, se la passa bene - anzi, è spuntato da me con l'idea di buttar giù casa mia per metterci in società a costruire appartamenti - m'ha raccontato come è andata, m'ha detto che, mentre stavano in spiaggia attorno al fuoco, al tramonto, a guardare il mare, sono arrivati quelli del komiteh, li hanno presi tutti e hanno controllato l'alito dicendo che avevano bevuto vino. Fra loro c'era un mollà che ha stabilito di punirli con settanta frustate, al cospetto di tutti. Un pianista, diplomato al conservatorio di Vienna, e i suoi amici, tutti professori, ingegneri, frustati. Dopo questa avventura ne sono arrivate delle altre, e non ha più sopportato che gli si pronunciasse davanti neanche una parola che avesse solo l'odore della religione, poi ha rincarato dicendo che non capiva la gente, quindi ha chiuso i ponti con tutti, a parte i suoi allievi e un paio di gaglioffi suoi vicini e i loro amici».

«Straordinario, e perché è rimasto in Iran? Perché non è tornato all'estero?».

«Ai tempi dello Scià, ti ricordi, era andato a studiare in Austria con una borsa di studio, ma non è facile dire cosa sia successo poi, penso che, anno dopo anno, sperasse che loro non interferissero con il suo lavoro, lui non era certamente un uomo politico, non ne aveva la grinta. Ma la violenza dell'odio gli si è ritorta contro, sono passati gli anni, trenta, ed ecco la nuova generazione».

«Ma si può essere così dissenzienti in un Paese islamico?!».

«Ti sei dimenticata che eravamo così anche noi? All'inizio della Rivoluzione eravamo diventati comunisti, in un Paese ridivenuto islamico. Ti ricordi quanta energia della nostra giovinezza ci assorbiva a quel tempo militare in una minoranza? Un giorno un tipo mi ha detto: "Tu sei parte della maggioranza in questo regime, l'hai condiviso, come persiana e sciita". Non sono riuscita a rispondergli: ma non sapeva quali lacerazioni avevo subito, quale frammentazione d'identità, dietro al velo!».

«Dici bene, ho dimenticato un sacco di cose, per amore di Aftab, per amore».

«Alla fine il padre di Arash s'è alzato dal letto, e con un bicchiere di vodka s'è seduto in poltrona, davanti alla finestra, mentre il sole del tramonto colorava le piastrelle attraverso le tende bianche traforate. Arash mi ha detto che ha messo su un gruppo musicale, non mi ricordo il nome, mi ha detto che ogni giorno va a casa di un ex compagno delle superiori, hanno passato entrambi il concorso d'ammissione all'università, e vanno a provare nello scantinato. Lui suona la chitarra, come l'amico, che fa anche il cantante, le canzoni sono composte da loro, dice che sono fenomenali. Gli ho chiesto se non hanno interesse per la musica persiana, mi ha risposte "No zia Roia, non ci interessa quel vecchiume, tutti quei gorgheggi e sfoggi di voce, non fa per noi, la gente non li capisce". Nilufar, per un attimo sono rimasta di sale, sono passati vent'anni e Arash è tale e quale Ashkan, va nello stesso scantinato, come non fosse un prodotto della sua generazione, per metà ci appartiene, ma l'altra metà appartiene alla generazione della Rivoluzione. Non sto parlando di rimpianti né di disillusioni, solo che invece di avere i due piedi piantati per terra, uno è sulla terra e l'altro tra le nuvole».

«Perché?! Adesso i ragazzi ascoltano musica straniera e ci sono un sacco di gruppi che suonano negli scantinati. Aftab mi dice: "Mamma, come fai a divertirti con Banan e le sue nenie?!"».

«Ho colto una somiglianza impalpabile tra Arash e Ashkan, non so come dirti, mentre i giovani d'oggi sono diversi. Forse non resta altro che non dare importanza alle cose, è l'unica possibilità».

  CONTINUA ...»

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